GLI UOMINI DELLA RSI: FRA' GINEPRO
FRA' GINEPRO IL CAPPELLANO
CHE CONFESSAVA MUSSOLINI"
Bruno de Padova
L’alzabandiera per Fra Ginepro Cappuccino e per la sua inesauribile
goliardia missionaria di Francescano da Pompeiana – quel borgo serafico
del Ponente imperiese ove Antonio Conio nacque nel 1903 – magnifica, nella
propria compostezza, l’intera vita di quest’Uomo eccezionale, integralmente
proteso alla solennità del suo Viatico, alla vocazione di Cappellano
militare e ad alleviare – con il conforto della Fede cristiana – i sacrifici
ed i patimenti dei Soldati in grigioverde laddove si trovarono impegnati
nell’adempimento del loro dovere verso la Nazione Italiana, sia con il
servizio di leva quanto con quello da volontari. La migliore conferma di
ciò venne fornita dallo stesso Fra Ginepro, che nell’opera Non li
possiamo dimenticare (ediz. 1958), nel capitolo ‘La sagra del valore’
(pag. 72 e successive) indicò che "Quando il nostro popolo
era nelle trincee, Iddio mi mandò nelle trincee; quando il nostro
popolo era dentro i reticolati, Iddio mi mandò dentro i reticolati;
quando il nostro popolo era in galera, Iddio mi mandò in galera."
e conchiuse "Ti ringrazio, o Signore, per queste prove meravigliose
di cui mi hai creduto degno".
Precisiamo che quest’alzabandiera fu intrapreso quale carme celebrativo
dell’apostolato di Fra Ginepro – unitamente all’interpretazione genuina
del significato sublime sempre attribuita da questo frate, valido cavaliere
di Cristo, all’elevazione del Calice – già sei lustri or sono,
il 23 Marzo 1970, da Fra Giorgio Maria da Terni mediante la divulgazione
d’un impareggiabile dossier impresso dai compositori dell’antica
Stamperia Tuderte (proprio nella contrada umbra In cui Jacopone
da Todi nel ‘200 compose la rinomata Lauda VII nota come ‘Pianto della
Madonna’) – e nel quale, con meticolosità, certifica l’interezza
etica dell’incombenza adempiuta dal cenobita da Pompeiana: da quando ascese
come novizio in un conventino in Val di Fiemme sino al momento in
cui, nel luglio 1962, dall’Eremo di Loano s’elevò oltre la soglia
dell’Aldilà con l’intera sua Umiltà, col corredo spirituale
in cui risaltava la sintesi della Vita di uno dei Cappuccini che ha
espresso a simbolo tutta una generazione, a conferma che la genuinità
della Passione è eterna e non muore quando nasce fin dal primo germe
della giovinezza e rinnovando – in simbiosi – nel Calvario
d’ogni giorno l’immolazione perfetta del soldato alla trincea e del mistico
alla Croce.
Adesso, in quest’inizio incerto del Terzo Millennio e confuso da un
ottuso materialismo che globalizza la sovranità monetaria
insieme al ‘mito’ utopico del libero mercato e avverso la giustizia
sociale (quella – ad esempio – indicata da Giacomo Barnes e che nel 1944
la R.S.I. segnalò col Ministero della Cultura Popolare), l’alzabandiera
per il Pio Cappuccino da Pompeiana dev’essere rinnovato perché,
la tonaca di Fra Ginepro è il vessillo meglio caratterizzante il
patrimonio morale della coerenza e delle scelte responsabili. Infatti,
col libro Il mio saio: una bandiera! (ediz. 1956) conduce dalla considerazione
per il suo noviziato, che gli rivelò il trionfo sulle tentazioni
con il quale Benedetto e Francesco fecero fiorire le spine dei roveti,
al ‘Presente!’ per tutti i Soldati italiani sacrificatisi sulle
fronti belliche, dall’Africa alla Spagna, dalla Grecia alla Russia, dalla
Sicilia alla Linea Gotica, dai campi di concentramento ai luoghi di martirio,
da Piazzale Loreto alle foibe, ecc., rinnovando la solennità della
Pietas – latina e cristiana – evolutasi in millenni di Storia e
di Civiltà, dai compiti della magistratura sacerdotale guerriera
introdotta da Cesare Augusto e dal Capitolarium libri VII con abbozzo
di gerarchia per i sacerdoti addetti alle Legioni (Anno 803) a quelli dell’Ordinariato
Militare delle FF.AA. Italiane perfezionato da Mussolini dopo i Patti Lateranensi
della Conciliazione (11 febbraio 1929), tutto a tutela di coloro che credono
nei valori d’Iddio e della propria Nazione, capaci – quindi – d’affrontare,
in difesa di questi patrimoni morali, qualsiasi privazione o abnegazione.
S’estrinseca così la metamorfosi vibrante di protesta contro
l’assurdità del cosiddetto modernismo faccendiero e trafficante
che, già nel remoto 1210, ebbe ad Assisi quel sublime critico che
fu San Francesco (vedasi ‘I grandi contestatori: San Francesco’
di P. D’Amia, 1973), risoluto nel rifiutare il benessere del babbo – quel
Pietro di Bernardone, affermato giostratore nella corporazione della
lana – e persino il fasto della Chiesa governante in tal’epoca, più
esattamente quella suntuosità che il fraticello assisano condannò
dinanzi al Pontefice Innocenzo III e presentandogli (quale migliore
disciplina per i ministri del culto) la Formula vitae del nascente
Ordine dei Frati Minori, cioè la Regola francescana.
E’ da quest’indicazione tanto significativa e d’obbligo che Fra Ginepro
trasse l’ispirazione per l’opera Un canto di religiosità nel Risorgimento
(ediz. 1931) in cui ‘Tugnolo’ (così firmava gli articoli
di poesia e di critica pubblicati sul ‘Giornale di Genova’) rivelò,
attraverso gli studi meticolosi compiuti sui Fratelli Ruffini di Taggia,
quanto il rivoluzionario idealista Giuseppe Mazzini – promotore nel 1832
anche del culto del Dovere – fu l’assertore deciso del principio
risorgimentale Dio-Patria-Famiglia, specificando che, questo partecipante
ai ‘sacri travagli’ dei Carbonari, si dimostrò esplicito
nel perorare come la sorgente d’ogni equilibrio proviene soltanto dal
Creatore, condannando il materialismo ateo di K. Marx e il collettivismo
anarchico di M. A. Bakunin.
E’ da rammentare che tale Religiosità del Risorgimento,
puntualizzata da Fra Ginepro con l’opera indicata del 1931, quindi del
patriottismo, ebbe un incisiva prosecuzione nella Repubblica Sociale (1943-1945)
e oltre, in quanto il martirologio anche del Clero fu parecchio sofferto
da tutti i Cappellani Militari – oltre novecento – partecipanti alla battaglia
di redenzione per l’onore della Nazione affrontata dalle FF.AA. del Maresciallo
Rodolfo Graziani: e lo riconosce Emilio Cavaterra in Sacerdoti in grigioverde
(ediz. 1993) de scrivendo la passione di dolore – insieme a quanto sofferto
da Fra Ginepro – di Padre Romiti, Don Angelo Scarpellini, Don Tullio Calcagno
(creatore del periodico ‘Crociata Italica’) assassinato a Milano
con il mutilato Carlo Borsani, Don Edmondo De Amicis, Don Sebastiano Caviglia,
Don Ovidio Zinaghi e tanti altri, confermandosi tutti ‘Soldati dell’eternità’.
Altresì, quando Antonio Conio – bersagliere con le ‘piume
ardenti’ per passione italica analoga a quella di Goffredo Mameli,
di Enrico Toti e di Benito Mussolini – all’inizio del 1932 divenne Fra
Ginepro, non rimase chiuso tra le vecchie mura claustrali, ma partì
– penitente – col sacco della sua e di altre Croci sulle
spalle verso il cammino della Via Crucis della Grazia, si aprì
ad un percorso di privazioni che Fra Giorgio M. da Terni indicò
descrivibili soltanto con la forza di un’altra ‘Divina Commedia’
dell’Alighieri, mediante un nuovo ‘Paradiso Perduto’ di J. Milton
e soprattutto con un susseguente ‘Viaggio del Pe1legrino’ di J.
Bunyan.
E’ d’obbligo, per noi, aggiungere che il francescano da Pompeiana volle
– in ogni momento – essere l’umile ‘fra’, anziché ‘padre’
(che a Lui sembrava troppo austero, meno ‘spartano’ ), consapevole
essenzialmente di un’incombenza, d’un apostolato che emerse per la sua
saldezza morale nel componimento su sofferenze rappresentato dall’opera
Convento e galera (1949) con cui il Frate-Soldato, e carcerato dai
‘liberati’ degli invasori, tracciò la propria fermezza nel
respingere qualsiasi istigazione all’odio e all’egoismo, per condannare
l’apatia concentrata e opportunista di troppi personaggi politici
(‘fascistissimi’ prima del 25 luglio), ma in particolare per evidenziare
l’ampiezza della sua solidarietà coi "fratelli in catene"
e con le "famiglie degli uccisi senza Sacramenti", più
chiaramente ‘per gli Italiani massacrati dalla cosiddetta liberazione’.
Nel ‘proemio’ con cui l’ospite della povertà (il valoroso
Gino C. Mazzoni, come lo indicarono Giacomo Marchetti e Goffredo
Olivari) presentò nel 1970 il libro postumo Ho confessato il Duce
di Fra Ginepro, si specifica che quegli appunti-diario configurano
un documento straordinario perché, oltre ad armonizzare con lirismo
la fermezza della Repubblica Sociale nel rigenerare appieno i valori civili
della Nazione Italica, nonché per l’Europa, nella sua funzione augustea
d’una Socializzazione plasmante nel mondo la supremazia del Lavoro sulla
speculazione monetaria della plutocrazia e sulle falsificazioni dialettiche
del marxismo, conferma quanto Benito Mussolini s impegnò in quei
momenti drammatici per la salvaguardia dei diritti e dei beni del nostro
popolo. Inoltre, nel tratteggiare i diversi momenti del suo incontro con
Mussolini alla Villa Feltrinelli di Gargnano nel dicembre 1944 e qualche
giorno prima del discorso dell’Uomo di Predappio al Teatro Lirico
di Milano, il cenobita puntualizza (pagg. 51-60) come sul tavolo di lavoro
del Capo della R.S.I. dispiegò il proprio altare da campo
per officiare la S. Messa (quell’ara adoperata sull’Amba d’Oro in
Etiopia per benedire le salme degli eroici scalatori e dei legionari di
Passo Uarieu e le spoglie della M.O. Padre Reginaldo Giuliani) e al Vangelo,
con l’omelia, invocò la benedizione di Dio per quanti si prodigavano
per salvare la Patria dalla catastrofe della ‘guerra civile’ fomentata
dagli invasori anglo-statunitensi e dall’antifascismo riemerso soltanto
con l’asservimento al nemico.
Avvenne in quel frangente che il fondatore de ‘Il Popolo d’Italia’,
il promotore del Fascismo italiano, il realizzatore del Concordato con
la Chiesa Cattolica (1929) e l’artefice della Carta del Lavoro confessò
al Cappellano del Tiemben l’intera, profonda, propria ansia per le sorti
future della Nazione Italiana e del suo popolo. Altro non l’assillava,
neppure l’incalzante tragedia che poi lo condusse a Dongo ed a Piazzale
Loreto.
Molteplici volumi torniscono adesso la biografia del Cappuccino da
Pompeiana, insieme al le diverse iniziative per promuovere nelle nuove
generazioni la virtù e lo splendore della sua Dottrina religiosa
e patriottica. Tra quest’opere — a nostro avviso — indichiamo che essa
ottiene da Pierfranco Malfettani uno dei compimenti più idonei attraverso
l’antologia di appunti, ricordi, documenti ed immagini perfezionata col
compendio Fra Ginepro. Il francescano, lo scrittore, il cappellano (ediz.
1997), realizzato in collaborazione con l’Associazione Amici di Fra Ginepro,
al suo Presidente Padre Clementino da Montefiore, al Segretario Carlo Viale
ed alla schiera d’estimatori di questo Soldato di Cristo e d’Italia,
‘tomo’ che tratteggia nei dettagli il ciclo missionario di Antonio Conio:
eccolo impegnato quale Cappellano Militare in Africa Orientale (1935-1936)
e in Etiopia tra i fanti della Divisione ‘Cosseria’, sino a venerare
la Madonnina del Tembien scolpita da un legionario ferito; poi,
compare sulla fronte italo-francese (giugno 1940) nell’assistere la M.O.
S.Ten. Andrea Oldoini, Vittorio Allegrini e altri Caduti; fu epico anche
tra gli avamposti greco-albanesi (1941) dei combattenti del 42° Rgt.
Fanteria della Div. ‘Modena’ e del 36° Btg. Camicie Nere – in cui emerse
per eroismo il seniore Maga – fino al momento in cui, ferito, diventò
prigioniero degli ellenici, indi condotto dagli Inglesi a soffrire la crudele
detenzione di S.M. Britannica in India, fra i reticolati d’un ‘Camps
Criminals Fascists’ nell’infernale zona di Bhairagar, dove tutto significava
il ‘cimitero dei vivi’.
Soltanto nella primavera 1943, per lo scambio di prigionieri degenti
effettuato dalla Croce Rossa Internazionale, questo Cappellano poté
rientrare in Italia e ciò gli consentì di schierarsi sulle
trincee della Repubblica Sociale per il riscatto dell’Onore nazionale.
Fra Ginepro – durante la R.S.I. – si prodigò in Germania tra
i soldati italiani rinchiusi dopo il tradimento dell’8 settembre nei ‘lager’,
si distinse tra i Combattenti in grigioverde di Graziani, Borghese
e Pavolini, fu accanto alle popolazioni afflitte dai bombardamenti ‘alleati’
e dalle atrocità della ‘guerra civile’ incoraggiata e sovvenzionata
dagli U.S.A., Gran Bretagna e U.R.S.S., tra tutti i feriti ed i moribondi,
senza distinzioni.
Il Cappellano che aveva confessato il Duce affrontò anche il
tormento, il calvario d’una nuova prigionia nel carcere genovese di Marassi
(‘galeotto’ dei Partigiani, dal maggio 1945 in poi) insieme ai più
perseguitati dalla cosiddetta Liberazione , trasformando
il pancaccio del carcere in pulpito e sino a voler essere uno degli ultimi
dimessi dalla reclusione politica per riuscire ad assistere ogni vittima
della persecuzione antifascista, tanto che durante il ‘Natale di galera’
(dopo quelli sulle fronti militari) portò il Crocifisso tra i condannati
a morte e tutti gli altri camerati imprigionati e sofferenti.
‘La vita dello Spirito è la vita vera’ reitera ai pellegrini
– nell’Eremo di Loano – la statua-effigie di Fra Ginepro.
Rammentiamo pertanto che, nel benedire le tombe di Caduti della R.S.I.
in un cimitero del Nord Italia, egli precisò: ‘Ora li rivedo
nella luce. Saliti al divino dall’umano, alla beatitudine del martirio,
all’amore dall’odio, all’abbraccio del Padre ... La loro incrollabile fede
è stata premiata in eterno’. Identica consacrazione sentiamo
che Iddio volle per il Cappuccino da Pompeiana, essendo stato uno dei Francescani
e dei Cappellani Militari immolatosi all’assioma di Fede cristiana e d’italianità.
ITALICUM Gennaio-Febbraio 2003 (Indirizzo e telefono: vedi
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